Lo scandalo che sconvolse la Francia, il J’Accuse di Zola, il complotto dei vertici dell’Armée
Il ministro degli Interni francese Bruno Retailleau ha di che preoccuparsi.
Le banlieu, certo, i gilet jaunes, l’immigrazione clandestina e quei musulmani di seconda e terza generazione che imboccano il tunnel senza uscita della clandestinità armata. Ad abundantiam, c’è la percentuale del mille per cento: di tanto sono aumentati dal 2022 al 2023 -e sono in crescita esponenziale anche nel 2024- gli atti di antisemitismo, dalle case marchiate con la Stella di Davide ai cimiteri profanati. Auto incendiate, lettere anonime, aggressioni. Il rigurgito del peggio.
Un galantuomo onora sempre i propri debiti, in primis quelli morali.
La Francia, pur in buona compagnia di non pochi insolventi, sa di essere fuori tempo massimo.
L’ex primo ministro Gabriel Attal, presidente del gruppo parlamentare Ensemble pour la République e la Gauche, hanno proposto la promozione da tenente colonnello a generale di brigata di Alfred Dreyfus. All’epoca dell’accusa -aver trasmesso ai tedeschi, particolari tecnici dell’artiglieria- l’alsaziano era capitano. Il suo ruolino di servizio, ineccepibile. Era ricco, colto e parlava un fluente tedesco. Ma era ebreo.
Fu vittima di una macchinazione antisemita interna all’Armée che divise la Francia di fine Ottocento in dreyfusard e antidreyfusard.
Gli “anti” non lo erano perché convinti della colpevolezza dalle cigolanti evidenze istruttorie del processo per tradimento ma perché antisemiti comunque, che fossero donne, uomini, di sinistra o di destra, citoyens o paysans, mezze maniche, bottegai, borghesia, sacerdoti o clochard. Antisemiti a prescindere.
I favorevoli sostenevano che l’impianto accusatorio traballasse sulle malferme perizie calligrafiche affidate a un incompetente, che la sentenza fosse già stata scritta nei termini di un crimine di stato, che fosse una caccia alle streghe degna di Jules Michelet.
Il movente. La ventiquattrenne Terza Repubblica aveva il fiato corto per il consenso popolare al boulangismo che accozzava revisionisti, radicali, nostalgici bonapartisti e monarchici; per lo scandalo del Canale di Panama, rovina politica di molti papaveri e rovina economica di centinaia di migliaia di risparmiatori; per la ferita aperta dell’annessione alla Germania dell’Alsazia e della Mosella dopo la disfatta militare del 1870. Per l’odio antitedesco, percolato nel sentimento nazionale.
Conseguenze reattive: il nazionalismo e l’antisemitismo. Erano gli ebrei gli affamatori del popolo, i violentatori della Marianne, i banchieri, gli strozzini, il virus della società, il male antico infiltrato nella giovane Francia.

La stampa ci metteva molto del suo, come La Libre Parole di Édouard Drumont che arrivò a tirare trecentomila copie. L’odio razziale diffuso a mezzo stampa era vietato dal luglio 1881. Difatti. L’Univers (1883), L’Intransigeant (1880), L’Anti-Sémitique (1883), Le Pilori (1886) vicino agli ultracattolici, Le Lillois (1884), La Bibliothèque Anti Sémitique (1887), La Cocarde (1888), Le Pierrot (1888), La Croix (1890), Terre de France (1892), La Libre Parole (1892), Le Combat Socialiste Antijuif (1895), L’Antijuif (1898).
L’elenco è largamente incompleto e si ferma alla boa del ventesimo secolo. Sono per lo meno altrettante le testate fondate dal 1900 in poi.
L’editoria non era da meno e stampava pamphlet antisemiti che tiravano in ballo la difesa della terra, della identità, dei costumi, la feudalità finanziaria, la giudaizzazione del cristianesimo, il complotto per il potere in combutta con i massoni, gli ebrei incistati nei gangli strategici del paese. Centinaia di volumi.
Anche l’Armée, che pure si rinnovava con l’arrivo di ufficiali politecnici, con il controspionaggio gestito dalla Section de Statistiques, era a rischio di isteria antisemita, sia che spiasse diplomatici e addetti militari stranieri o i duemilacinquecento cittadini francesi sospettati di tradimento, da arrestare in caso di guerra, come i centomila stranieri astrattamente collusi con il nemico.
Guerra psicologica e diffusione di notizie false.
L’affaire Dreyfus sarebbe stato un romanzo scritto male che tutti avrebbero letto.
Nel settembre 1894, il rocambolesco recupero della minuta di un telegramma non datato né siglato, nel cestino della carta straccia dell’ambasciata di Berlino, destinato all’attaché militare tedesco von Schwartkoppen, aveva aperto le danze; il testo lasciava intendere che un ufficiale francese avesse tradito.
La lista dei “possibili” infedeli, redatta in base all’incrocio del pregresso di destinazioni e incarichi, era di cinque ufficiali. I cognomi: Soriot, Gaston, Corbin, Dreyfus, Etienne. Dreyfus era l’unico ebreo.
Diamo per letta la convulsa escalation inquisitoria; i suoi punti cariati sono questi:
la minuta del telegramma riferiva di un’imminente partenza per un’esercitazione che non riguardava Dreyfus, arrestato e incarcerato il 15 ottobre 1894; la perizia calligrafica di un esperto della Banque de France, che smentiva in toto la consulenza del primo incaricato, palesemente incapace, fu ignorata.
Altrettanto per tutti gli elementi a discolpa sottolineati nel rapporto del Consiglio di Guerra al governatore militare di Parigi, generale Saussier. L’avvocato di Dreyfus poté leggerlo solo a istruttoria chiusa.
La stampa antisemita aprì un fuoco di fila contro Dreyfus; non fu la cronaca giudiziaria ma la prolusione alla sentenza. La scrivevano collaboratori, procuratori legali e avvocati che conoscevano la procedura penale ma erano nemici di David.
Colpevole per il tono di voce, per la fissità dello sguardo, per il tremito sottocutaneo alla tempia, per l’incedere. La sua vita privata e quella di tutto il suo entourage famigliare erano sul tavolo della morgue.
La grafia è sua? Lo è forse solo in parte? Allora Dreyfus ha imitato sé stesso per allontanare i sospetti che, novità del giorno, erano retrodatabili di almeno sei mesi. Un plico sigillato inviato dalla Section de Statistiques alla corte avrebbe chiuso il caso con inconfutabili prove. Irricevibili. La Cassazione avrebbe annullato il processo per i marchiani vizi procedurali?
Il Consiglio condannò Dreyfus alla deportazione (fine pena mai), alla destituzione e al disonore della degradazione.
Il parco dell’Unesco, in Place de Fontenoy è prospicente la Cour Morlan de ll’École Militaire. Su quel grande spiazzo, il 5 gennaio 1895, Dreyfus, scortato da quattro artiglieri, ascoltò la sentenza. Una Guardia Repubblicana strappò dalla giacca gradi, mostrine, cordoni dorati e spezzò la sciabola.
Cinquanta giorni dopo, il piroscafo Ville de Saint Nazare salpava per la Guyana. La destinazione finale erano l’Isola del Diavolo e una prigione di sedici metri quadrati.
In sintesi, il seguito.
Due anni dopo, la Section de Statistiques intercettava i frammenti di una lettera indirizzata all’ufficiale Marie Charles Ferdinand Esterhazy, 49 anni, da cui si evinceva che il traditore era lui, un malandrino con debiti di gioco, falsificatore di documenti, fallimentari speculazioni in borsa, lenone e con un pessimo curriculum militare. Ma qualcuno, nelle alte sfere dell’Armée, lo proteggeva perché ne conosceva la corruttibilità. Esterhazy non era un utile idiota ma un delinquente.
Le evidenze erano inconfutabili; la grafia, simile a quella di Dreyfus, era sua.

E qui, a breve, verranno a galla le responsabilità dell’Armée.
Il tenente colonnello Georges Picquart, neocapo della sezione, confronta i frammenti ricomposti con due lettere di Esterhazy rinvenute in archivio: la spia è lui. Ma lo Stato Maggiore gli oppone il principio della prevalenza del passato in giudicato. Il caso non sarà riaperto.
Non basta. La casa di Picquart è saccheggiata, il nome della sua amante sposata è reso pubblico con il conseguente scandalo, un trasferimento per ragioni di servizio lo allontana da Parigi e in Tunisia.
Non basta ancora. Picquart sarebbe affiliato a un sindacato giudaico che trama per salvare Dreyfus e incolpare un innocente. Il capitano Hebert-Joseph Henry, sottoposto a Picquart e Esterhazy, falsificano un documento che punterebbe il dito contro Dreyfus chiamando in causa anche l’attaché italiano Panizzardi, ricattato perché omosessuale.
Picquart non cede. Il suo amico avvocato Leblois “gira” al vicepresidente del senato Scheurer-Kestner, la sequenza delle sgangherate falle dell’inchiesta e del processo. Picquart era tenuto al silenzio assoluto ma senza le sue parole al legale, il marciume sarebbe rimasto coperto dall’omertà.
A fine 1897, un agente di borsa esibisce a Mathieu Dreyfus, fratello del condannato, un ordine di vendita di titoli del suo cliente e debitore Esterhazy. La sovrapponibilità della scrittura è perfetta. La famiglia ne informa il ministero della Guerra.

La misura è colma. La parola che condanna, può essere salvifica. La scrive il romanziere Émile Zola, sul quotidiano L’Aurore il 13 gennaio 1898; è una lettera aperta al presidente della République, Felix Faure. È il j’accuse di quella vicenda e di ogni altra in cui la verità, inarrestabile quando è en marche, è negata. L’autore di Germinale accusa:
il Tenente Colonnello du Paty de Clam di essere stato l’artefice diabolico dell’errore giudiziario – a sua insaputa, voglio credere – e di avere in seguito difeso la sua opera nefasta, da tre anni a questa parte, mediante le macchinazioni più assurde e colpevoli; il Generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo; il Generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di tale delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, per scopi politici e per salvare lo Stato maggiore compromesso; il Generale de Boisdeffre ed il Generale Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto, l’uno certamente per passione clericale, l’altro forse per lo spirito di corpo che fa degli Uffici della guerra l’Arca santa, inattaccabile; il Generale de Pellieux ed il Comandante Ravary di aver fatto un’inchiesta infame, intendendo con ciò un’inchiesta della parzialità più mostruosa, di cui abbiamo, nella relazione del secondo, un monumento imperituro di ingenua audacia; i tre esperti di grafologia, Belhomme, Varinard e Couard, di avere steso delle relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio; gli Uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell’Éclair e nell’Écho de Paris, una campagna abominevole per fuorviare l’opinione pubblica e coprire la loro colpa; infine il primo Consiglio di Guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato sulla base di un documento rimasto segreto, ed accuso il secondo Consiglio di Guerra di aver coperto tale illegalità dietro un ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di prosciogliere scientemente un colpevole.
Eccola, dunque, la stampa asservita alla menzogna. Un mercimonio morale ed etico. Zola, accusato di diffamazione, è condannato a un anno di reclusione e a un’ammenda di tremila franchi. Meglio così. Il bisturi ha intaccato la cancrena.
Nel 1902, Zola muore, forse per le esalazioni di una stufa. Incidente o sabotaggio?
Soltanto nel luglio 1906, dopo un altro guazzabuglio giudiziario di indagini interne, di falsificazioni, testimonianze mendaci, ritrattazioni e suicidi, duplici richieste di revisione, Dreyfus viene riabilitato.
Esterhazy fugge in Inghilterra e collabora con le testate antisemite La Libre Parole e L’Éclair. La dichiarazione resa anni prima al quotidiano Le Matin di aver falsificato la grafia di Dreyfus per ordini superiori, confermata dall’altro contraffattore, il colonnello Henry, aveva indotto quest’ultimo, già in prigione, a tagliarsi la gola. Ma questa morte ha il suo cascame di sospetti: Henry e la cella erano stati perquisiti…
Il clima resta incandescente: nel 1908 Dreyfus, presente alla cerimonia di traslazione delle spoglie di Zola al Pantheon, è ferito a un braccio da una pistolettata. A sparare, è stato un giornalista antisemita.
Ufficiale della Riserva, Dreyfus, richiamato nella Grande Guerra, partecipa alle battaglie-massacro di Verdun e dello Chemin des Dames. Promosso tenente colonnello, insignito nel 1919 della Légion d’Honneur, muore a Parigi il 12 luglio 1935 a 76 anni.
Ora, la proposta congiunta di Attal e della Gauche per la promozione postuma deriva dal mancato computo degli anni trascorsi all’Isola del Diavolo. Se conteggiati, per automatismo, Dreyfus sarebbe stato congedato con il grado di generale di brigata.
Ottenuta la riabilitazione, Dreyfus non aveva chiesto un centesimo d’indennizzo.
Perché non ci hanno pensato il presidente Macron, capo delle Forze Armate e il ministro della Difesa Sébastien Lecornu o, last but not least, il capo di Stato Maggiore Tierry Burchard?
In fin dei conti, si tratta “solo” di contributi…
Lo scandalo che sconvolse la Francia, il J’Accuse di Zola, il complotto dei vertici dell’Armée
Il ministro degli Interni francese Bruno Retailleau ha di che preoccuparsi.
Le banlieu, certo, i gilet jaunes, l’immigrazione clandestina e quei musulmani di seconda e terza generazione che imboccano il tunnel senza uscita della clandestinità armata. Ad abundantiam, c’è la percentuale del mille per cento: di tanto sono aumentati dal 2022 al 2023 -e sono in crescita esponenziale anche nel 2024- gli atti di antisemitismo, dalle case marchiate con la Stella di Davide ai cimiteri profanati. Auto incendiate, lettere anonime, aggressioni. Il rigurgito del peggio.
Un galantuomo onora sempre i propri debiti, in primis quelli morali.
La Francia, pur in buona compagnia di non pochi insolventi, sa di essere fuori tempo massimo.
L’ex primo ministro Gabriel Attal, presidente del gruppo parlamentare Ensemble pour la République e la Gauche, hanno proposto la promozione da tenente colonnello a generale di brigata di Alfred Dreyfus. All’epoca dell’accusa -aver trasmesso ai tedeschi, particolari tecnici dell’artiglieria- l’alsaziano era capitano. Il suo ruolino di servizio, ineccepibile. Era ricco, colto e parlava un fluente tedesco. Ma era ebreo.
Fu vittima di una macchinazione antisemita interna all’Armée che divise la Francia di fine Ottocento in dreyfusard e antidreyfusard.
Gli “anti” non lo erano perché convinti della colpevolezza dalle cigolanti evidenze istruttorie del processo per tradimento ma perché antisemiti comunque, che fossero donne, uomini, di sinistra o di destra, citoyens o paysans, mezze maniche, bottegai, borghesia, sacerdoti o clochard. Antisemiti a prescindere.
I favorevoli sostenevano che l’impianto accusatorio traballasse sulle malferme perizie calligrafiche affidate a un incompetente, che la sentenza fosse già stata scritta nei termini di un crimine di stato, che fosse una caccia alle streghe degna di Jules Michelet.
Il movente. La ventiquattrenne Terza Repubblica aveva il fiato corto per il consenso popolare al boulangismo che accozzava revisionisti, radicali, nostalgici bonapartisti e monarchici; per lo scandalo del Canale di Panama, rovina politica di molti papaveri e rovina economica di centinaia di migliaia di risparmiatori; per la ferita aperta dell’annessione alla Germania dell’Alsazia e della Mosella dopo la disfatta militare del 1870. Per l’odio antitedesco, percolato nel sentimento nazionale.
Conseguenze reattive: il nazionalismo e l’antisemitismo. Erano gli ebrei gli affamatori del popolo, i violentatori della Marianne, i banchieri, gli strozzini, il virus della società, il male antico infiltrato nella giovane Francia.

La stampa ci metteva molto del suo, come La Libre Parole di Édouard Drumont che arrivò a tirare trecentomila copie. L’odio razziale diffuso a mezzo stampa era vietato dal luglio 1881. Difatti. L’Univers (1883), L’Intransigeant (1880), L’Anti-Sémitique (1883), Le Pilori (1886) vicino agli ultracattolici, Le Lillois (1884), La Bibliothèque Anti Sémitique (1887), La Cocarde (1888), Le Pierrot (1888), La Croix (1890), Terre de France (1892), La Libre Parole (1892), Le Combat Socialiste Antijuif (1895), L’Antijuif (1898).
L’elenco è largamente incompleto e si ferma alla boa del ventesimo secolo. Sono per lo meno altrettante le testate fondate dal 1900 in poi.
L’editoria non era da meno e stampava pamphlet antisemiti che tiravano in ballo la difesa della terra, della identità, dei costumi, la feudalità finanziaria, la giudaizzazione del cristianesimo, il complotto per il potere in combutta con i massoni, gli ebrei incistati nei gangli strategici del paese. Centinaia di volumi.
Anche l’Armée, che pure si rinnovava con l’arrivo di ufficiali politecnici, con il controspionaggio gestito dalla Section de Statistiques, era a rischio di isteria antisemita, sia che spiasse diplomatici e addetti militari stranieri o i duemilacinquecento cittadini francesi sospettati di tradimento, da arrestare in caso di guerra, come i centomila stranieri astrattamente collusi con il nemico.
Guerra psicologica e diffusione di notizie false.
L’affaire Dreyfus sarebbe stato un romanzo scritto male che tutti avrebbero letto.
Nel settembre 1894, il rocambolesco recupero della minuta di un telegramma non datato né siglato, nel cestino della carta straccia dell’ambasciata di Berlino, destinato all’attaché militare tedesco von Schwartkoppen, aveva aperto le danze; il testo lasciava intendere che un ufficiale francese avesse tradito.
La lista dei “possibili” infedeli, redatta in base all’incrocio del pregresso di destinazioni e incarichi, era di cinque ufficiali. I cognomi: Soriot, Gaston, Corbin, Dreyfus, Etienne. Dreyfus era l’unico ebreo.
Diamo per letta la convulsa escalation inquisitoria; i suoi punti cariati sono questi:
la minuta del telegramma riferiva di un’imminente partenza per un’esercitazione che non riguardava Dreyfus, arrestato e incarcerato il 15 ottobre 1894; la perizia calligrafica di un esperto della Banque de France, che smentiva in toto la consulenza del primo incaricato, palesemente incapace, fu ignorata.
Altrettanto per tutti gli elementi a discolpa sottolineati nel rapporto del Consiglio di Guerra al governatore militare di Parigi, generale Saussier. L’avvocato di Dreyfus poté leggerlo solo a istruttoria chiusa.
La stampa antisemita aprì un fuoco di fila contro Dreyfus; non fu la cronaca giudiziaria ma la prolusione alla sentenza. La scrivevano collaboratori, procuratori legali e avvocati che conoscevano la procedura penale ma erano nemici di David.
Colpevole per il tono di voce, per la fissità dello sguardo, per il tremito sottocutaneo alla tempia, per l’incedere. La sua vita privata e quella di tutto il suo entourage famigliare erano sul tavolo della morgue.
La grafia è sua? Lo è forse solo in parte? Allora Dreyfus ha imitato sé stesso per allontanare i sospetti che, novità del giorno, erano retrodatabili di almeno sei mesi. Un plico sigillato inviato dalla Section de Statistiques alla corte avrebbe chiuso il caso con inconfutabili prove. Irricevibili. La Cassazione avrebbe annullato il processo per i marchiani vizi procedurali?
Il Consiglio condannò Dreyfus alla deportazione (fine pena mai), alla destituzione e al disonore della degradazione.
Il parco dell’Unesco, in Place de Fontenoy è prospicente la Cour Morlan de ll’École Militaire. Su quel grande spiazzo, il 5 gennaio 1895, Dreyfus, scortato da quattro artiglieri, ascoltò la sentenza. Una Guardia Repubblicana strappò dalla giacca gradi, mostrine, cordoni dorati e spezzò la sciabola.
Cinquanta giorni dopo, il piroscafo Ville de Saint Nazare salpava per la Guyana. La destinazione finale erano l’Isola del Diavolo e una prigione di sedici metri quadrati.
In sintesi, il seguito.
Due anni dopo, la Section de Statistiques intercettava i frammenti di una lettera indirizzata all’ufficiale Marie Charles Ferdinand Esterhazy, 49 anni, da cui si evinceva che il traditore era lui, un malandrino con debiti di gioco, falsificatore di documenti, fallimentari speculazioni in borsa, lenone e con un pessimo curriculum militare. Ma qualcuno, nelle alte sfere dell’Armée, lo proteggeva perché ne conosceva la corruttibilità. Esterhazy non era un utile idiota ma un delinquente.
Le evidenze erano inconfutabili; la grafia, simile a quella di Dreyfus, era sua.

E qui, a breve, verranno a galla le responsabilità dell’Armée.
Il tenente colonnello Georges Picquart, neocapo della sezione, confronta i frammenti ricomposti con due lettere di Esterhazy rinvenute in archivio: la spia è lui. Ma lo Stato Maggiore gli oppone il principio della prevalenza del passato in giudicato. Il caso non sarà riaperto.
Non basta. La casa di Picquart è saccheggiata, il nome della sua amante sposata è reso pubblico con il conseguente scandalo, un trasferimento per ragioni di servizio lo allontana da Parigi e in Tunisia.
Non basta ancora. Picquart sarebbe affiliato a un sindacato giudaico che trama per salvare Dreyfus e incolpare un innocente. Il capitano Hebert-Joseph Henry, sottoposto a Picquart e Esterhazy, falsificano un documento che punterebbe il dito contro Dreyfus chiamando in causa anche l’attaché italiano Panizzardi, ricattato perché omosessuale.
Picquart non cede. Il suo amico avvocato Leblois “gira” al vicepresidente del senato Scheurer-Kestner, la sequenza delle sgangherate falle dell’inchiesta e del processo. Picquart era tenuto al silenzio assoluto ma senza le sue parole al legale, il marciume sarebbe rimasto coperto dall’omertà.
A fine 1897, un agente di borsa esibisce a Mathieu Dreyfus, fratello del condannato, un ordine di vendita di titoli del suo cliente e debitore Esterhazy. La sovrapponibilità della scrittura è perfetta. La famiglia ne informa il ministero della Guerra.

La misura è colma. La parola che condanna, può essere salvifica. La scrive il romanziere Émile Zola, sul quotidiano L’Aurore il 13 gennaio 1898; è una lettera aperta al presidente della République, Felix Faure. È il j’accuse di quella vicenda e di ogni altra in cui la verità, inarrestabile quando è en marche, è negata. L’autore di Germinale accusa:
il Tenente Colonnello du Paty de Clam di essere stato l’artefice diabolico dell’errore giudiziario – a sua insaputa, voglio credere – e di avere in seguito difeso la sua opera nefasta, da tre anni a questa parte, mediante le macchinazioni più assurde e colpevoli; il Generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo; il Generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di tale delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, per scopi politici e per salvare lo Stato maggiore compromesso; il Generale de Boisdeffre ed il Generale Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto, l’uno certamente per passione clericale, l’altro forse per lo spirito di corpo che fa degli Uffici della guerra l’Arca santa, inattaccabile; il Generale de Pellieux ed il Comandante Ravary di aver fatto un’inchiesta infame, intendendo con ciò un’inchiesta della parzialità più mostruosa, di cui abbiamo, nella relazione del secondo, un monumento imperituro di ingenua audacia; i tre esperti di grafologia, Belhomme, Varinard e Couard, di avere steso delle relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio; gli Uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell’Éclair e nell’Écho de Paris, una campagna abominevole per fuorviare l’opinione pubblica e coprire la loro colpa; infine il primo Consiglio di Guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato sulla base di un documento rimasto segreto, ed accuso il secondo Consiglio di Guerra di aver coperto tale illegalità dietro un ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di prosciogliere scientemente un colpevole.
Eccola, dunque, la stampa asservita alla menzogna. Un mercimonio morale ed etico. Zola, accusato di diffamazione, è condannato a un anno di reclusione e a un’ammenda di tremila franchi. Meglio così. Il bisturi ha intaccato la cancrena.
Nel 1902, Zola muore, forse per le esalazioni di una stufa. Incidente o sabotaggio?
Soltanto nel luglio 1906, dopo un altro guazzabuglio giudiziario di indagini interne, di falsificazioni, testimonianze mendaci, ritrattazioni e suicidi, duplici richieste di revisione, Dreyfus viene riabilitato.
Esterhazy fugge in Inghilterra e collabora con le testate antisemite La Libre Parole e L’Éclair. La dichiarazione resa anni prima al quotidiano Le Matin di aver falsificato la grafia di Dreyfus per ordini superiori, confermata dall’altro contraffattore, il colonnello Henry, aveva indotto quest’ultimo, già in prigione, a tagliarsi la gola. Ma questa morte ha il suo cascame di sospetti: Henry e la cella erano stati perquisiti…
Il clima resta incandescente: nel 1908 Dreyfus, presente alla cerimonia di traslazione delle spoglie di Zola al Pantheon, è ferito a un braccio da una pistolettata. A sparare, è stato un giornalista antisemita.
Ufficiale della Riserva, Dreyfus, richiamato nella Grande Guerra, partecipa alle battaglie-massacro di Verdun e dello Chemin des Dames. Promosso tenente colonnello, insignito nel 1919 della Légion d’Honneur, muore a Parigi il 12 luglio 1935 a 76 anni.
Ora, la proposta congiunta di Attal e della Gauche per la promozione postuma deriva dal mancato computo degli anni trascorsi all’Isola del Diavolo. Se conteggiati, per automatismo, Dreyfus sarebbe stato congedato con il grado di generale di brigata.
Ottenuta la riabilitazione, Dreyfus non aveva chiesto un centesimo d’indennizzo.
Perché non ci hanno pensato il presidente Macron, capo delle Forze Armate e il ministro della Difesa Sébastien Lecornu o, last but not least, il capo di Stato Maggiore Tierry Burchard?
In fin dei conti, si tratta “solo” di contributi…