Orellie Antoine de Tounens, il visionario che creò il regno di Patagonia e Araucania
A Chourgnac, in Périgueux (Dordogna) vivono settanta périgourdins.
È una frazione di Tourtoirac che non arriva a settecento abitanti.
Visitate le grotte, visti i resti di un’abbazia altomedievale con due torri campanarie e un fiume lungo cento chilometri, non c’è altro.
Quando nacque Orellie Antoine de Tounens, figlio di proprietari terrieri, era il 12 maggio 1825, giovedì. Le notti erano nel buio volo delle streghe e “lontano” era il tutto del mondo al di là della collina.
La nobiltà, scampata alla ghigliottina, era tornata nei suoi possedimenti e altrettanto la Chiesa, nelle riserve delle anime, delle esenzioni fiscali e delle proprietà terrene.
Se non fosse stato per lui, per la sua inconcepibile avventura, nessuno ne saprebbe qualcosa. Non ne scrisse una riga Joseph Conrad, autore del racconto The Duel. A Military Tale, ambientato nella vicina Sarlat, patria del paté d’oca, da cui Ridley Scott ha tratto il soggetto per I Duellanti. Una storia vera.
A pochi chilometri, c’è Bergerac, il paese di Cyrano – nato invece a Parigi – ma non ne ha scritto neppure Rostand. E neanche Simenon, che vi ambienta un’indagine del suo Maigret.
Dunque, perché scrivere di un sonnacchioso paesino della Francia del Sud?
Perché Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. Oscar Wilde dice il vero. Orellie è stato almeno pari ai cartografi che ipotizzavano l’esistenza del continente australe, scrivendo sulla vastità dell’oceano, Terra Australis Incognita, prima che Johann Blaeu disegnasse nel 1659 la Hollandia Nova.
L’Utopia di de Tounens era una terra dell’America del Sud, anzi, erano due, la Patagonia e l’Araucania, strette tra Cile e Argentina, abitate da indios che avevano respinto gli Incas e i conquistadores spagnoli, prima che le armi da fuoco li confinassero in spazi sempre più angusti. Per de Tounens, avvocato di provincia, massone, ammiratore di Napoleone III, il libro galeotto fu La Araucana, del poeta spagnolo Alfonso de Ercilla y Zuniga, che raccontava la fierezza di quella gente e la drammaticità della loro condizione di assediati, de facto indipendenti da Cile e Argentina.
Le scuole superiori, la facoltà di Giurisprudenza, lo studio da procuratore legale, le letture di storia e geografia, l’ammirazione per le tribù di quegli uomini fieri e lontani – li avrebbe battezzati I Centauri Araucani – che lui, francese della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza, avrebbe difeso nell’identità e nell’auto determinazione, in una visionaria missione civilizzatrice.
Avrebbe riunito le tribù guadagnandosi la fiducia dei loro capi, poi sotto una bandiera, in un regno nuovo, legittimato dalla storia e da un dettato costituzionale scritto da lui.
I capi lo avrebbero eletto re, sangue reale come l’imperatore Napoleone III, e avrebbe creato dicasteri, nominato ministri, battuto moneta, commissionato l’inno nazionale, organizzato un esercito e una marina, intrattenuto relazioni con il mondo…
Erano quelli, gli anni in cui lo spirito romantico andava oltre la ragione, nella favola bella di sanare un’ingiustizia. Ma cosa avrebbero detto, la famiglia, i colleghi, i clienti dello studio, il direttore della banca? Si sarebbero vergognati. Cosa avrebbero tentato, pur di dissuaderlo? Il senno di poi gli avrebbe consigliato di essere realista, di tentare il salto professionale nello studio legale di una grande città, magari di sposare una possidente, ammonendolo che sarebbe stato compatito come la mente labile di un ego dal solipsismo ipertrofico. La vittima di sé stesso.
Aveva venduto parte dell’eredità di famiglia per imbarcarsi a Le Havre su una nave per il Cile, con un baule, l’Atlante Universale di Maité-Brun e Les Memoires de Richard Williams, martyre de la Terre du Feu. Quasi la circumnavigazione del globo sul tre alberi a vapore La Plata, cabina di prima classe con accesso alla plancia del capitano Templeton. Era l’ottobre del 1858.
Leggeva e parlava scolasticamente lo Spagnolo. Per settimane aveva respirato l’aria salsa fino e oltre la linea curva dell’orizzonte.
Come nascere una seconda volta. Un’altra nave a Panama, l’Acapulco, a La Serena, nella regione di Coquimbo. Nessuno lo attendeva.
Dopo due anni a Santiago e Valparaiso, trascorsi imparando la lingua e qualche gutturale idioma araucano, nella primavera del 1860, sbarcò a Valdivia, a ottocento chilometri a Sud della capitale, alla confluenza dei fiumi Cau Cau, Valdivia e Calle Calle. L’Araucania mapuche non era lontana. Ingaggiò una guida, comprò un revolver e due cavalli. Indossava un poncho bicolore, stivali, speroni d’argento, uno spadino istoriato d’oro. Capelli sulle spalle, barba lunga, una fascia di seta vermiglia sulla fronte.
De Tounens era un’apparizione; materializzava la profezia delle sciamane e guaritrici machi, che annunciavano l’arrivo a cavallo di un uomo bianco che avrebbe riunito le tribù e cacciato i cileni che bracconavano senza averne diritto la selvaggina nelle loro terre.
In linea di principio, l’utopia di de Tounens non era infondata poiché Santiago e Buenos Aires non avrebbe potuto rivendicare l’Araucania tra i territori ereditati dalla Spagna: Madrid non aveva mai sottomesso il suo popolo. Il buonsenso avrebbe voluto che il fiume Bio-Bio sarebbe stato il naturale confine tra Cile e Araucania ma la logica della conquista, anche in prospettiva anti argentina e, da parte argentina, anti cilena, voleva tutt’altro.
De Tounens spiegò il progetto al capo indio Manil, che lo aiutò a incontrare gli altri capi, accompagnandolo in un territorio dal quale, altrimenti, non sarebbe uscito vivo.
Il carisma di Manil e la personalità di de Tounens furono convincenti. Il progetto di un regno araucano fu approvato e, il 17 novembre 1860, nella fazenda del francese Desfontaine, de Tounens redasse e firmò un decreto che creava una monarchia costituzionale ed ereditaria per una nazione che sarebbe stata chiamata Nuova Francia.
Araucania 17 November 1860
NOI, PRINCIPE ORLLIE ANTOINE DE TOUNENS,
Considerando che l’Araucania non dipende da alcuno Stato; che è divisa in tribù e che si desidera un governo centrale per l’interesse particolare e per l’ordine generale,
Decretiamo quanto segue:
Art. 1 In Araucania è istituita una monarchia costituzionale ed ereditaria; Il principe Philip Orllie-Antoine de Tounens viene nominato re.
Art. 2. Nel caso in cui il re non abbia discendenti, i suoi eredi saranno eletti tra gli altri rami della sua famiglia, secondo l’ordine che sarà stabilito in seguito con un decreto reale.
Art. 3. Fino a quando non saranno stati istituiti gli organi direttivi, gli ordini reali avranno l’autorità di una legge.
Art. 4. Il nostro Ministro, Segretario di Stato, è incaricato dell’esecuzione di questo decreto.
Fatto in Araucania, addì 17 novembre 1860
Desfontaines fu nominato ministro degli Esteri e incaricato di informare il presidente cileno Manuel Monti. Decreto e Costituzione furono inviati a quotidiani e periodici cileni, che pubblicarono la notizia nell’indifferenza del nuovo presidente Joaquin Perez che la considerava non più di una folklorica bravata.
De Tounens pensò di coagulare sotto la bandiera della Nuova Francia altre tribù. Accompagnato da due interpreti e dall’assistente Rosales, il 25, 26, 27 dicembre 1861, dichiarò ai capi riuniti che Il diritto naturale e internazionale vi dà il potere di diventare una nazione in modo che possiate marciare verso il progresso a un ritmo più costante.
E affermò in un memorandum di essere stato eletto Re di Araucania e Patagonia. Come tale, avrebbe dovuto sposare non una ma una mezza dozzina – a sua scelta! – di ragazze, figlie dei capi tribù.
A tutto pensava, de Tounens fuorché a farsi una famiglia vieppiù in poligamia. Se la cavò rimandando sine die le nozze fino a quando non avessero sconfitto il nemico. Altre tribù mapuche lo avrebbero riconosciuto re di una nazione che avrebbe potuto avere un peso politico da non sottovalutare.
De Tounens fu arrestato. La sua difesa fu scambiata per il monologo di un alienato nonostante polizia e magistratura cilene si convincessero giorno dopo giorno della fondatezza delle sue argomentazioni. La diplomazia francese lo salvò dal ricovero in manicomio e lo rimpatriò. La stampa francese lo trattò con la sufficienza di chi guarda al mondo con supponenza e compatimento. Lo chiamarono il re a disposizione.
Nel 1863 de Tounens pubblicò a sue spese le memorie dell’avventura in Araucania. Deriso ma non vinto, spalleggiato soltanto dal fratello Jean, progettava di tornare.
Nel 1869, il vapore Oneida attraccò a Buenos Aires. Il 14 marzo, sbarcò in un porto della Patagonia. Il governo cileno aveva comunicato ai capi indio la sua morte per fucilazione. La profezia delle sciamane si realizzava così per la seconda volta.
De Tounens incontrò i capi Quilapan, Montet e Lemunao.
Nominò il primo ministro della Guerra, e altri alle Relazioni Estere, agli Interni, alla Giustizia e all’Agricoltura.
Il governo cileno invogliò i delatori con una cospicua taglia ma nessuno tradì.
Le casse erano vuote, le promesse di finanziamenti restarono tali; abbondavano solo i titoli onorifici concessi dal re.
Nel 1871, decise di tornare in Francia, ottenuta l’autorizzazione dai capi tribù.
A Buenos Aires, fu intervistato dai quotidiani La Prensa, La Nacion e La Tribuna. Sembrava fosse solo una questione di tempo e il nuovo regno sarebbe stato riconosciuto ovunque.
Il secondo ritorno fu peggio del primo e prese casa a Parigi confidando di poter essere introdotto a corte e prospettare a Napoleone III l’opportunità di agevolare finanziariamente una terza missione. Scrisse al fratello Jean di essersi fidanzato con tale mademoiselle de Percy, omonima della Milady dei Tre Moschettieri (!).
Un gruppo di idealisti, non meno visionari di lui, prestò fidejussione a suo favore e una banca deliberò un prestito garantito, con cui acquistò armi dismesse dall’Armée e munizioni.
Viaggiò con documenti contraffatti, sbarbato, i capelli cortissimi e finti pince-nez.
All’arrivo a Bahia Blanca, nel luglio 1874, fu arrestato e trattenuto per cento giorni.
L’intervento del consolato francese fu decisivo e il rimpatrio, immediato.
Chiunque avrebbe lasciato perdere. De Tounens, no. Sapeva che nessuno gli avrebbe affidato una causa, che mai avrebbe potuto rifondere le garanzie che avevano permesso l’erogazione del prestito, che Tourtoirac lo aveva ripudiato. Gli restavano l’ossessione di sempre e la volontà di non arrendersi. All’inizio del 1876, era a Montevideo. Cercava una strada non battuta da esercito, carabineros e polizia… Ma finì con le manette ai polsi dopo essere stato derubato.
Si ammalò fino a ridursi a uno scheletro ma si riprese, fu liberato e rimpatriato. Morì il 18 settembre 1878, in solitudine e in indigenza.
Nel piccolo cimitero di Tourtoirac, un cartello indica la tomba di Orellie Antoine de Tounens, re di Patagonia e Araucania. Il successore al trono fu l’amico Gustave-Achille Laviarde, Achille I che, nel 1885 inviò una lettera al presidente americano Grover Cleveland chiedendo il riconoscimento dell’autonomia dell’Araucania e della Patagonia.
Filippo d’Araucania, parlò al Palazzo di Vetro dei diritti del popolo araucano nel 1961. Nel 1968. gli Stati Uniti riconobbero come agente diplomatico straniero un rappresentante del governo araucano.
Nel 1986, La pelicula del rey dell’argentino Carlos Sorin, vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. È la storia di David, un giovane regista che vuole raccontare l’imparagonabile vicenda di Orellie Antoine de Tounens, comunque, con ogni mezzo, con attori di strada e prostitute, anche dopo che il finanziatore è fuggito con la cassa. Un film magnifico, come la colonna sonora di Carlos Franzetti.
Nel prologo, David risponde a un giornalista che gli chiede cosa ci sia di vero in questa incredibile storia. “ Tutto. Perché tutto il cinema è una finzione”.