Un U-Boot silurò il transatlantico a poche miglia dall'Irlanda. Cosa provocò la seconda esplosione? Un irrisolto cold case.
La certezza dei numeri, l’incertezza delle molte “verità”, l’incognita delle ipotesi.
Un cold case di 110 anni.
Cominciamo dalla data e dai numeri: 7 maggio 1915; il luogo: costa irlandese, 12 miglia al largo dell’Old Head Kinsale.
Il sommergibile tedesco U20 avvista a 7 miglia il fumo di una grande nave che naviga a velocità ridotta per la nebbia; poco dopo, il comandante inglese Turner ordina un accosto di 20 gradi; inizialmente riconosciuto come il Mauretania, è il liner gemello Lusitania, orgoglio della Marina britannica. Un gigante di 240 metri per 35 mila tonnellate.
Siluri lanciati dall’U-boot 20 del tenente di vascello Walther Schwieger contro il transatlantico della compagnia Cunard: 1.
Numero di esplosioni: 2, la seconda per “simpatia”, generata dall’onda di pressione provocata dalla prima.
Minuti trascorsi dall’attacco all’affondamento: 18.
Vittime (passeggeri + equipaggio): 1.195, di cui 123 americani.
Teorici del complotto: i molti che additarono il cinquantunenne Winston Churchill, dal 24 ottobre 1911 al 25 maggio 1915 primo Lord dell’Ammiragliato. Vedremo.

L’incontrollabile domino innescato dall’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia a Sarajevo – 28 giugno 1914 – aveva incendiato l’Europa: trincee, filo spinato, mitragliatrici, gas “mostarda”, embargo contro la Germania (che si riforniva in netta prevalenza via mare di materie prime e generi alimentari, per sostenere il gigantesco sforzo bellico, sfamare la popolazione, i milioni di soldati al fronte e far girare l’industria). La guerra sottomarina indiscriminata alle navi alleate, quale che fosse la bandiera esposta, era stata la risposta allo strangolamento britannico.
Richmond Hobson, membro del Congresso degli Stati Uniti, sull’onda di sdegno per l’aggressione tedesca, accusò l’Inghilterra di aver organizzato l’affondamento per indurre gli Stati Uniti ad entrare in guerra; per alimentare l’odio antitedesco inducendo migliaia di potenziali volontari inglesi e di emigrati a chiedere l’arruolamento; per garantire la completa collocazione dei titoli di stato britannici, emessi per finanziare l’abnorme costo finanziario del conflitto.
Seguirono tumulti antigermanici, saccheggi e incendi di negozi e imprese; furono sabotati i piroscafi che avrebbero trasportato dall’America del Nord e del Sud, i tanti figli e nipoti di emigrati pronti a combattere per il Kaiser; si diffusero notizie false, fotomontaggi, illustrazioni tendenziose, ricostruzioni drammatiche e improbabili.
Tre passeggeri bavaresi, accusati di spionaggio per una macchina fotografica a soffietto, erano stati imprigionati in una cabina chiusa a chiave: annegati.
Nulla fu trascurato nella reciproca delegittimazione. Il codice cavalleresco che voleva la salvezza dei passeggeri e dell’equipaggio di ogni nave attaccata da un sottomarino, salve rarissime eccezioni, finiva nel cestino del tempo che fu.
Era in affollata compagnia, Hobson. Churchill fu accusato di aver trattenuto all’ancora le navi che avrebbero dovuto scortare il Lusitania nel porto di Liverpool, nonostante sapesse dei ripetuti avvistamenti di sommergibili della Kriegsmarine in acque britanniche. L’U2, partito da Emden, aveva completato, indisturbato, il periplo dell’Irlanda.
A parziale giustificazione, ci poteva stare il fresco ricordo di quel maledetto 22 settembre 1914; in acque belghe, l’U9 del comandante Otto Weddigen, aveva affondato in successione i tre incrociatori inglesi Aboukir, Hogue e Cressy, per un totale di 36 mila tonnellate. Erano morti 62 ufficiali e 1.397 uomini d’equipaggio.
Se il Lusitania fosse stato scortato da più mezzi della Royal Navy, il tiro al bersaglio avrebbe potuto ripetersi. Ma questa è una teoria probabilistica; le navi da guerra sono fatte per combattere.
Cosa trasportava, oltre al carico umano, il Lusitania? La risposta inciampa nelle omissioni. Nei fatti, il contrabbando di materiale bellico dagli Stati Uniti verso l’Europa, era pratica consolidata. L’Italia, nonostante fosse alleata con Austria e Germania, già dal 1914 trasportava cavalli – pagati in lingotti d’oro stivati nel viaggio d’andata – da New York a Genova sulla nave Ancona e li “girava” a Parigi.
Il 26 aprile 1915, Roma aveva firmato con Francia, Gran Bretagna e la Russia zarista il Patto di Londra e, meno di un mese dopo, il 24 maggio 1915, era entrata in guerra contro Vienna. Ma non contro la Germania.
L’inedito ibrido era riconducibile alla presenza tedesca negli assetti finanziari nazionali, vedi Banca Commerciale Italiana, e industriali, vedi aziende strategiche pesanti al di qua del Rubicone. “Solo” il 28 agosto 1916 l’Italia dichiarerà guerra a Berlino. Nel frattempo, in Mediterraneo, i sommergibili tedeschi inalberavano la bandiera austriaca e attaccavano le navi nemiche, tra cui, il 7 novembre 1915, a 90 miglia da Marettimo, proprio il piroscafo Ancona, diretto a New York con il suo tesoro. Affondato con 206 morti, in prevalenza donne e bambini.
Berlino aveva i suoi informatori. Per tempo, aveva comprato sui principali quotidiani americani lo spazio per la pubblicazione di un avviso inequivocabile.
Ai viaggiatori che intendono intraprendere la traversata atlantica si ricorda che tra la Germania e la Gran Bretagna esiste uno Stato di guerra. Si ricorda che la zona di guerra comprende le acque adiacenti la Gran Bretagna e che, in conformità di un preavviso formale da parte del Governo Tedesco, le imbarcazioni battenti la bandiera della Gran Bretagna o di un qualsiasi suo alleato, sono passabili di distruzione una volta entrati in quelle acque.
L’avviso fu pubblicato in ritardo da tutte le testate, non prima del 30 aprile e non- com’era negli accordi con le concessionarie della pubblicità il 24 e il 30 aprile, il primo e l’8 maggio. L’avvertimento elencava il Lusitania e le altre navi dirette in Inghilterra: Transylvania, Orduna, Tuscania e il Carpathia, che farà rotta su Gibilterra, Genova, Napoli e Pireo. Addurre “motivi tecnici” come causa della ritardata pubblicazione è una risibile auto assoluzione: le pagine di un quotidiano sono modificabili fino a un secondo prima che la rotativa inizi a girare. Escludere a priori il dolo è per lo meno arduo.
In più: scripta manent. I documenti di carico certificano che il Lusitania, ormeggiato al molo 54 del porto di New York, aveva stivato migliaia di casse di bombe – almeno 2.000 trasbordate da un’altra nave inglese poco prima di salpare per l’ultima traversata, la numero 202 – migliaia di granate shrapnel, 4.927 cassette di cartucce, 1.638 lingotti di rame.
Domanda: il Lusitania era così diventato un legittimo obiettivo militare poiché trasportava materiale bellico per la British Army?
Altra domanda: cosa ha innescato la seconda esplosione, ben più letale della prima? La polvere di carbone che impregnava le cale, in dispersione nell’aria già caldissima, come una nera nube pronta a deflagrare alla prima scintilla con effetti devastanti? Forse. Ma più di un esperto militare ha ricordato che i 150 chili di esplosivo del siluro hanno spinto una massa d’acqua che sfonda ogni opera viva e irrompe nei ristretti spazi interni della nave moltiplicando la forza d’urto.
Andiamo oltre le scartoffie: in una rischiosa operazione organizzata dal milionario americano Gregg Bemis, titolare dal 1960 dei diritti di recupero sul Lusitania, un robot ha recuperato una dozzina di proiettili Remington calibro 303 fabbricati in America. Era la munizione d’ordinanza delle truppe del Commonwealth.
L’Irlanda ha vietato ogni immersione e tentativo di recupero con susseguente battaglia legale con Bemis, che, nel frattempo è morto.
Cercava la cassaforte del commissario di bordo dove i passeggeri di prima classe depositavano gioielli e contanti? O i contenitori piombati con due tele di Rubens e Tiziano, destinataria la National Gallery di Dublino? Il relitto è collassato e inesplorabile nonostante sia a “soli” novanta metri; la Royal Navy ne ha fatto il bersaglio per testare le bombe di profondità.
Di certo Winston Churchill avrebbe voluto coinvolgere gli Stati Uniti contro la Germania. L’annuncio formale tedesco della guerra indiscriminata condotta con gli u-boot, datato 18 febbraio, è indirizzata agli Stati Uniti per causare un effetto deterrente sui trasporti; vogliamo che il traffico sia maggiore, meglio se qualcuno di esso – navi neutrali, ndr – finisce nei guai, meglio ancora.
Questa lettera, e altre due del 15 e 16 febbraio 1915, volevano indurre l’influente politico Walter Runciman, primo visconte di Doxford e presidente del Britain Bord Of Trade, a fornire da subito l’assicurazione ai Paesi neutrali che commerciavano con l’Inghilterra dopo l’annuncio della guerra sottomarina indiscriminata. E concludeva: Più ne arrivano (navi di paesi neutrali, ndr) maggiori sono la nostra sicurezza e l’imbarazzo tedesco.
Obiezione: il Lusitania era inglese, non neutrale. E, come tutte le navi passeggeri e i mercantili, era stata iscritta dall’Ammiragliato nel registro AMC – Armed Merchant Cruiser – come ausiliaria della Royal Navy e dotata di dodici postazioni per piccoli cannoni da 6 pollici.

A poche ore dall’attacco al transatlantico, l’U20 aveva affondato la Candidate e la Centurion. La prima stazzava poco meno di 6.000 tonnellate e navigava verso le Indie Occidentali carica di ferramenta e alimentari. Fu fermata a cannonate e l’equipaggio calò le scialuppe. Poi, un siluro e altre cannonate la colarono a picco.
I superstiti incrociarono un peschereccio inglese armato, il Lawrenny Castle che non li soccorse ma fuggì; un secondo battello, il Lord Allendale salvò i naufraghi. Incredibilmente, la presenza dell’U 20 non fu segnalata al Lusitania. Perché?
La seconda, 5.500 tonnellate e 44 uomini di equipaggio, fu affondata lo stesso giorno a County Wexford. Ancora, nessuna segnalazione fu inviata al Lusitania.
I cacciatorpediniere Lucifer, Legion, Linnet e Laverock erano all’ancora a Milford Haven, nel Galles, caldaie in pressione, pronti a salpare. Non si mossero. Perché?
Da quando il Lusitania aveva mollato gli ormeggi a New York, ventitré mercantili erano stati silurati ma nessuna notizia degli attacchi le era stata trasmessa. Le comunicazioni tra la sala radio del transatlantico e l’Ammiragliato, intercorse dal 5 al 7 maggio, rimangono tuttora classificate: non sono disponibili.
È vero o è falso che il capitano Turner chiese di dirottare la nave attorno all’Irlanda e attraverso il Canale del Nord e che gli fu risposto picche? O è una congettura dei teorici del complotto? È vero che pensò di dirigere direttamente su Liverpool in condizione di marea montante? È credibile che un esperto ufficiale qual era abbia malinteso le istruzioni di procedere a zig-zag per rendere più difficile l’attacco di un sommergibile, intendendole applicabili non preventivamente ma solo dopo un avvistamento? Perché non si è tenuto più al largo? La visibilità era realmente scarsa da imporre la riduzione della velocità a 18-19 nodi, rendendo la nave un facile bersaglio?
La rotta del Canale del Nord era stata sgombrata dalle mine tedesche già dal 15 aprile 1915 ma l’Ammiragliato non avrebbe dato l’o.k. a Turner. Il Lusitania fu silurato a Sud. Nessuno nei ranghi superiori dell’Ammiragliato fu ritenuto responsabile. Nonostante tutto.

L’ipotesi che Churchill avesse tentato di trascinare da subito gli Stati Uniti nel conflitto favorendo la tragedia è suggestivamente intrigante ma improbabile poiché la Gran Bretagna dipendeva dalle forniture d’oltreoceano per poter combattere sul suolo francese. Se gli Stati Uniti avessero dichiarato guerra dopo il caso del Lusitania, armi e munizioni sarebbero rimaste in America.
Churchill e il Primo Lord del Mare – grado equivalente a Capo di stato maggiore – John Fisher, primo barone di Kilverstone, tenevano per sé le informazioni e gli affari interni. Churchill avrebbe potuto architettare l’affondamento solo in esplicito accordo con Fischer. E non a distanza e non per interposta persona: era in Francia.
L’inchiesta governativa fu un’inutile pièce; il colpevole naturale non era l’Ammiragliato, non era il capitano Turner né la Cunard ma l’impero degli Unni, la Germania, che aveva decorato il comandante Schwieger ma si era più volte scusata con la Casa Bianca accusando l’Inghilterra. Washington non cercava una giustificazione ma l’impegno tedesco al mai più. Gli attacchi a convogli e a navi isolate continuarono, eccome. Trascorreranno 23 mesi prima che il presidente Woodrow Wilson firmi l’atto di entrata in guerra, il 6 aprile 1917.
Peseranno il sentimento antitedesco, l’andamento del conflitto, il timore per l’esito finale. E la solvibilità del rilevantissimo ammontare dei titoli di stato e delle obbligazioni inglesi a mani americane.
Se Germania e Austria avessero vinto, cosa sarebbe successo a Wall Street?

Un U-Boot silurò il transatlantico a poche miglia dall'Irlanda. Cosa provocò la seconda esplosione? Un irrisolto cold case.
La certezza dei numeri, l’incertezza delle molte “verità”, l’incognita delle ipotesi.
Un cold case di 110 anni.
Cominciamo dalla data e dai numeri: 7 maggio 1915; il luogo: costa irlandese, 12 miglia al largo dell’Old Head Kinsale.
Il sommergibile tedesco U20 avvista a 7 miglia il fumo di una grande nave che naviga a velocità ridotta per la nebbia; poco dopo, il comandante inglese Turner ordina un accosto di 20 gradi; inizialmente riconosciuto come il Mauretania, è il liner gemello Lusitania, orgoglio della Marina britannica. Un gigante di 240 metri per 35 mila tonnellate.
Siluri lanciati dall’U-boot 20 del tenente di vascello Walther Schwieger contro il transatlantico della compagnia Cunard: 1.
Numero di esplosioni: 2, la seconda per “simpatia”, generata dall’onda di pressione provocata dalla prima.
Minuti trascorsi dall’attacco all’affondamento: 18.
Vittime (passeggeri + equipaggio): 1.195, di cui 123 americani.
Teorici del complotto: i molti che additarono il cinquantunenne Winston Churchill, dal 24 ottobre 1911 al 25 maggio 1915 primo Lord dell’Ammiragliato. Vedremo.

L’incontrollabile domino innescato dall’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e della moglie Sofia a Sarajevo – 28 giugno 1914 – aveva incendiato l’Europa: trincee, filo spinato, mitragliatrici, gas “mostarda”, embargo contro la Germania (che si riforniva in netta prevalenza via mare di materie prime e generi alimentari, per sostenere il gigantesco sforzo bellico, sfamare la popolazione, i milioni di soldati al fronte e far girare l’industria). La guerra sottomarina indiscriminata alle navi alleate, quale che fosse la bandiera esposta, era stata la risposta allo strangolamento britannico.
Richmond Hobson, membro del Congresso degli Stati Uniti, sull’onda di sdegno per l’aggressione tedesca, accusò l’Inghilterra di aver organizzato l’affondamento per indurre gli Stati Uniti ad entrare in guerra; per alimentare l’odio antitedesco inducendo migliaia di potenziali volontari inglesi e di emigrati a chiedere l’arruolamento; per garantire la completa collocazione dei titoli di stato britannici, emessi per finanziare l’abnorme costo finanziario del conflitto.
Seguirono tumulti antigermanici, saccheggi e incendi di negozi e imprese; furono sabotati i piroscafi che avrebbero trasportato dall’America del Nord e del Sud, i tanti figli e nipoti di emigrati pronti a combattere per il Kaiser; si diffusero notizie false, fotomontaggi, illustrazioni tendenziose, ricostruzioni drammatiche e improbabili.
Tre passeggeri bavaresi, accusati di spionaggio per una macchina fotografica a soffietto, erano stati imprigionati in una cabina chiusa a chiave: annegati.
Nulla fu trascurato nella reciproca delegittimazione. Il codice cavalleresco che voleva la salvezza dei passeggeri e dell’equipaggio di ogni nave attaccata da un sottomarino, salve rarissime eccezioni, finiva nel cestino del tempo che fu.
Era in affollata compagnia, Hobson. Churchill fu accusato di aver trattenuto all’ancora le navi che avrebbero dovuto scortare il Lusitania nel porto di Liverpool, nonostante sapesse dei ripetuti avvistamenti di sommergibili della Kriegsmarine in acque britanniche. L’U2, partito da Emden, aveva completato, indisturbato, il periplo dell’Irlanda.
A parziale giustificazione, ci poteva stare il fresco ricordo di quel maledetto 22 settembre 1914; in acque belghe, l’U9 del comandante Otto Weddigen, aveva affondato in successione i tre incrociatori inglesi Aboukir, Hogue e Cressy, per un totale di 36 mila tonnellate. Erano morti 62 ufficiali e 1.397 uomini d’equipaggio.
Se il Lusitania fosse stato scortato da più mezzi della Royal Navy, il tiro al bersaglio avrebbe potuto ripetersi. Ma questa è una teoria probabilistica; le navi da guerra sono fatte per combattere.
Cosa trasportava, oltre al carico umano, il Lusitania? La risposta inciampa nelle omissioni. Nei fatti, il contrabbando di materiale bellico dagli Stati Uniti verso l’Europa, era pratica consolidata. L’Italia, nonostante fosse alleata con Austria e Germania, già dal 1914 trasportava cavalli – pagati in lingotti d’oro stivati nel viaggio d’andata – da New York a Genova sulla nave Ancona e li “girava” a Parigi.
Il 26 aprile 1915, Roma aveva firmato con Francia, Gran Bretagna e la Russia zarista il Patto di Londra e, meno di un mese dopo, il 24 maggio 1915, era entrata in guerra contro Vienna. Ma non contro la Germania.
L’inedito ibrido era riconducibile alla presenza tedesca negli assetti finanziari nazionali, vedi Banca Commerciale Italiana, e industriali, vedi aziende strategiche pesanti al di qua del Rubicone. “Solo” il 28 agosto 1916 l’Italia dichiarerà guerra a Berlino. Nel frattempo, in Mediterraneo, i sommergibili tedeschi inalberavano la bandiera austriaca e attaccavano le navi nemiche, tra cui, il 7 novembre 1915, a 90 miglia da Marettimo, proprio il piroscafo Ancona, diretto a New York con il suo tesoro. Affondato con 206 morti, in prevalenza donne e bambini.
Berlino aveva i suoi informatori. Per tempo, aveva comprato sui principali quotidiani americani lo spazio per la pubblicazione di un avviso inequivocabile.
Ai viaggiatori che intendono intraprendere la traversata atlantica si ricorda che tra la Germania e la Gran Bretagna esiste uno Stato di guerra. Si ricorda che la zona di guerra comprende le acque adiacenti la Gran Bretagna e che, in conformità di un preavviso formale da parte del Governo Tedesco, le imbarcazioni battenti la bandiera della Gran Bretagna o di un qualsiasi suo alleato, sono passabili di distruzione una volta entrati in quelle acque.
L’avviso fu pubblicato in ritardo da tutte le testate, non prima del 30 aprile e non- com’era negli accordi con le concessionarie della pubblicità il 24 e il 30 aprile, il primo e l’8 maggio. L’avvertimento elencava il Lusitania e le altre navi dirette in Inghilterra: Transylvania, Orduna, Tuscania e il Carpathia, che farà rotta su Gibilterra, Genova, Napoli e Pireo. Addurre “motivi tecnici” come causa della ritardata pubblicazione è una risibile auto assoluzione: le pagine di un quotidiano sono modificabili fino a un secondo prima che la rotativa inizi a girare. Escludere a priori il dolo è per lo meno arduo.
In più: scripta manent. I documenti di carico certificano che il Lusitania, ormeggiato al molo 54 del porto di New York, aveva stivato migliaia di casse di bombe – almeno 2.000 trasbordate da un’altra nave inglese poco prima di salpare per l’ultima traversata, la numero 202 – migliaia di granate shrapnel, 4.927 cassette di cartucce, 1.638 lingotti di rame.
Domanda: il Lusitania era così diventato un legittimo obiettivo militare poiché trasportava materiale bellico per la British Army?
Altra domanda: cosa ha innescato la seconda esplosione, ben più letale della prima? La polvere di carbone che impregnava le cale, in dispersione nell’aria già caldissima, come una nera nube pronta a deflagrare alla prima scintilla con effetti devastanti? Forse. Ma più di un esperto militare ha ricordato che i 150 chili di esplosivo del siluro hanno spinto una massa d’acqua che sfonda ogni opera viva e irrompe nei ristretti spazi interni della nave moltiplicando la forza d’urto.
Andiamo oltre le scartoffie: in una rischiosa operazione organizzata dal milionario americano Gregg Bemis, titolare dal 1960 dei diritti di recupero sul Lusitania, un robot ha recuperato una dozzina di proiettili Remington calibro 303 fabbricati in America. Era la munizione d’ordinanza delle truppe del Commonwealth.
L’Irlanda ha vietato ogni immersione e tentativo di recupero con susseguente battaglia legale con Bemis, che, nel frattempo è morto.
Cercava la cassaforte del commissario di bordo dove i passeggeri di prima classe depositavano gioielli e contanti? O i contenitori piombati con due tele di Rubens e Tiziano, destinataria la National Gallery di Dublino? Il relitto è collassato e inesplorabile nonostante sia a “soli” novanta metri; la Royal Navy ne ha fatto il bersaglio per testare le bombe di profondità.
Di certo Winston Churchill avrebbe voluto coinvolgere gli Stati Uniti contro la Germania. L’annuncio formale tedesco della guerra indiscriminata condotta con gli u-boot, datato 18 febbraio, è indirizzata agli Stati Uniti per causare un effetto deterrente sui trasporti; vogliamo che il traffico sia maggiore, meglio se qualcuno di esso – navi neutrali, ndr – finisce nei guai, meglio ancora.
Questa lettera, e altre due del 15 e 16 febbraio 1915, volevano indurre l’influente politico Walter Runciman, primo visconte di Doxford e presidente del Britain Bord Of Trade, a fornire da subito l’assicurazione ai Paesi neutrali che commerciavano con l’Inghilterra dopo l’annuncio della guerra sottomarina indiscriminata. E concludeva: Più ne arrivano (navi di paesi neutrali, ndr) maggiori sono la nostra sicurezza e l’imbarazzo tedesco.
Obiezione: il Lusitania era inglese, non neutrale. E, come tutte le navi passeggeri e i mercantili, era stata iscritta dall’Ammiragliato nel registro AMC – Armed Merchant Cruiser – come ausiliaria della Royal Navy e dotata di dodici postazioni per piccoli cannoni da 6 pollici.

A poche ore dall’attacco al transatlantico, l’U20 aveva affondato la Candidate e la Centurion. La prima stazzava poco meno di 6.000 tonnellate e navigava verso le Indie Occidentali carica di ferramenta e alimentari. Fu fermata a cannonate e l’equipaggio calò le scialuppe. Poi, un siluro e altre cannonate la colarono a picco.
I superstiti incrociarono un peschereccio inglese armato, il Lawrenny Castle che non li soccorse ma fuggì; un secondo battello, il Lord Allendale salvò i naufraghi. Incredibilmente, la presenza dell’U 20 non fu segnalata al Lusitania. Perché?
La seconda, 5.500 tonnellate e 44 uomini di equipaggio, fu affondata lo stesso giorno a County Wexford. Ancora, nessuna segnalazione fu inviata al Lusitania.
I cacciatorpediniere Lucifer, Legion, Linnet e Laverock erano all’ancora a Milford Haven, nel Galles, caldaie in pressione, pronti a salpare. Non si mossero. Perché?
Da quando il Lusitania aveva mollato gli ormeggi a New York, ventitré mercantili erano stati silurati ma nessuna notizia degli attacchi le era stata trasmessa. Le comunicazioni tra la sala radio del transatlantico e l’Ammiragliato, intercorse dal 5 al 7 maggio, rimangono tuttora classificate: non sono disponibili.
È vero o è falso che il capitano Turner chiese di dirottare la nave attorno all’Irlanda e attraverso il Canale del Nord e che gli fu risposto picche? O è una congettura dei teorici del complotto? È vero che pensò di dirigere direttamente su Liverpool in condizione di marea montante? È credibile che un esperto ufficiale qual era abbia malinteso le istruzioni di procedere a zig-zag per rendere più difficile l’attacco di un sommergibile, intendendole applicabili non preventivamente ma solo dopo un avvistamento? Perché non si è tenuto più al largo? La visibilità era realmente scarsa da imporre la riduzione della velocità a 18-19 nodi, rendendo la nave un facile bersaglio?
La rotta del Canale del Nord era stata sgombrata dalle mine tedesche già dal 15 aprile 1915 ma l’Ammiragliato non avrebbe dato l’o.k. a Turner. Il Lusitania fu silurato a Sud. Nessuno nei ranghi superiori dell’Ammiragliato fu ritenuto responsabile. Nonostante tutto.

L’ipotesi che Churchill avesse tentato di trascinare da subito gli Stati Uniti nel conflitto favorendo la tragedia è suggestivamente intrigante ma improbabile poiché la Gran Bretagna dipendeva dalle forniture d’oltreoceano per poter combattere sul suolo francese. Se gli Stati Uniti avessero dichiarato guerra dopo il caso del Lusitania, armi e munizioni sarebbero rimaste in America.
Churchill e il Primo Lord del Mare – grado equivalente a Capo di stato maggiore – John Fisher, primo barone di Kilverstone, tenevano per sé le informazioni e gli affari interni. Churchill avrebbe potuto architettare l’affondamento solo in esplicito accordo con Fischer. E non a distanza e non per interposta persona: era in Francia.
L’inchiesta governativa fu un’inutile pièce; il colpevole naturale non era l’Ammiragliato, non era il capitano Turner né la Cunard ma l’impero degli Unni, la Germania, che aveva decorato il comandante Schwieger ma si era più volte scusata con la Casa Bianca accusando l’Inghilterra. Washington non cercava una giustificazione ma l’impegno tedesco al mai più. Gli attacchi a convogli e a navi isolate continuarono, eccome. Trascorreranno 23 mesi prima che il presidente Woodrow Wilson firmi l’atto di entrata in guerra, il 6 aprile 1917.
Peseranno il sentimento antitedesco, l’andamento del conflitto, il timore per l’esito finale. E la solvibilità del rilevantissimo ammontare dei titoli di stato e delle obbligazioni inglesi a mani americane.
Se Germania e Austria avessero vinto, cosa sarebbe successo a Wall Street?
