Purgatori, la verità sempre – Ustica, Emanuela Orlandi, Mino Pecorelli. Le inchieste nel DNA

Andrea Purgatori, giornalista. Aveva settant’anni e un palmares d’inchieste da appuntagli sul petto la medaglia di fuoriclasse. È morto nel volgere di poche ore per una non specificata “malattia fulminante”. Da cronista puro, avrebbe preteso che venisse descritta meglio.

La vecchia scuola della migliore carta stampata, la sua, non era quella degli opinionisti a gettone, dei tuttologi e dei levantini facitori di “distinguo” e di processi sommari, buoni per l’intrattenimento di basso profilo e per i retroscena del sottobosco politico, ma il drappello all’adunata della quotidiana ricerca della verità, in un Paese che ha architettato delitti di Stato e confezionato inossidabili dossier su stragi, omicidi, morti inspiegate, finti suicidi, rapimenti, scandali politici, tangenti, tentati golpe, in un giroscopico equilibrio instabile di forze centrifughe e centripete: Patto Atlantico, Nato, Vaticano, Compromesso Storico, scorribande bancarie, uomini della Provvidenza, Servizi Segreti -che non sono mai “deviati” ma sempre utilizzati per quel che sono-, massoneria, mafia, camorra, crimine organizzato. Firma storica del Corriere. Ogni pezzo è stato un essai di compiutezza, di esaustività, di precisione: gli veniva naturale essere dalle parti della perfezione.

Nuvole di passaggio sul Belpaese, dal sabotaggio dell’aereo di Enrico Mattei al “suicidio” del banchiere Roberto Calvi, dal caffè che uccise Michele Sindona al DC 10 dell’Itavia, precipitato nel 1980 e le tredici morti inspiegabili… L’elenco dei misfatti soltanto percepiti è impresentabilmente lungo e questo poco basta a solo esempio delle tante ferite mai cauterizzate dell’Italia del dopoguerra. Purgatori era nato capace: oltre al mestiere, ci vuole il talento. E l’onestà intellettuale, la determinazione, la misura, la riservatezza che qualificano l’eccellenza professionale. Ustica è stata il fil rouge di un maestro sul campo in una Roma anni Settanta-Ottanta che grondava sangue. Tra i morti ammazzati, il giornalista Mino Pecorelli, bollato come ricattatore, eppure capace, solo, di alzare il velo, ogni settimana, con la sua rivista, O.P. sul tardo impero della Prima Repubblica, gli Antelope Cobbler, i Belzebù, il burattinaio aretino, la banda della Magliana.

A Pecorelli, ucciso il 20 marzo 1979 con la malavitosa liturgia del colpo di pistola in bocca, Purgatori aveva dedicato su La 7 una puntata di Atlantide, ospiti la giornalista Raffaella Fanelli, autrice del libro-inchiesta La strage continua- La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli edito da Ponte alle Grazie. Pecorelli era un collega, anzitutto, e ha pagato con la vita il suo lavoro, ma solo dopo la riapertura dell’inchiesta sulla sua morte, a seguito del libro della Fanelli, il sindacato dei giornalisti, la FNSI, si è costituito parte civile…

Ustica. Uno dei film peggiori prodotti sullo scacchiere internazionale. Una competizione di bugie tra i Paesi coinvolti, finita pari merito perché tutti hanno mentito all’unisono. L’inchiesta di Purgatori ha smontato un collage di incongruenze altrimenti invalicabili e di teorie artatamente supportate da prove false, da inquinamento, da sottrazioni, da manipolazioni, da sostituzioni, da falsificazioni di dati e luoghi, dallo spostamento di reperti sommersi… Il tutto, per una maldestra zoppia dei fatti così come sono stati ricostruiti, smentiti, riscritti.
Dicevo del coraggio: non bastano le dita di due mani per contare le successive morti sospette. Una più o una in meno, avvertimenti compresi anche a chi solo ha sfiorato l’argomento, non sarebbe stato un problema.

Sceneggiatore, scrittore, regista. Chapeau!

L’inchiesta sulla sparizione di Manuela Orlandi, altro guazzabuglio del peggio italiano, di cui Purgatori ha ricostruito fatti, momenti e circostanze, collateralità, sbalorditive connivenze e non meno impensabili esposizioni, coabitazioni di porporati e di criminali, dispense cardinalizie, ricatti, marciume all’ombra della cupola michelangiolesca.

Cold case, delitti accomunati da elementi condivisi, ingegnerie chimiche di un veleno con formule diverse e un unico esito letale, che si tratti dalla trattativa Stato-mafia o della caccia a un dittatore nordafricano con cui l’Europa ha sempre fatto affari, anche, vedasi Italia, scambiando greggio con armi, o che fosse un giornalista da tacitare per mano di un terrorista nero assoldato dalla P2 o di non troppo inimmaginabili cause e concause della sparizione di ragazze adolescenti.

Purgatori l’ha fermato la morte, che è sempre vigliacca. E già si fantastica di dossier in luoghi sicuri per verità postume. Al solito.

Non siamo qui né per celebrarlo né per seppellirlo. Dirgli “grazie” non basta.