Il luogotenente Alain Fournier


I romanzi postumi appaiono post mortem. Raramente completi, abbozzi o poco più, pubblicati comunque. È il caso dell’Originale di Laura di Wladimir Nabokov, autore di Lolita. Poche pagine stampate nel 2009, ventidue anni dopo la morte, per iniziativa del figlio Dmitri che non hanno aggiunto una virgola alla grandezza del padre. Semmai… Ne sortirono un polverone emotivo e un fenomeno di marketing, per lo spessore dell’autore e per la fiduciosa attesa dei lettori, vista la pochezza dell’agone letterario internazionale.
Abbondano i falsi, da sempre: La figlia del Corsaro Verde fu commissionato da un figlio di Salgari, Nadir, al futuro sovrintendente di Firenze, Renzo Chiarelli, che lo scrisse in pochi giorni. Lo pubblicò Sonzogno nel 1941. La mia intervista a Chiarelli è stata pubblicata il 9 gennaio 1991 dal quotidiano L’Arena e ripresa pari pari l’11 gennaio, dal Corriere della Sera.

Qui, il caso è diverso perché del suo romanzo postumo, Alain Fournier, disperso sul fronte francese il 22 settembre 1914 -aveva 28 anni- non ha scritto una riga. Ci ha pensato il tempo -e ce n’è voluto molto- perché l’autore del magnifico Le Grand Meaulnes avesse nella Nécropole Nationale de Saint-Remy-la-Calonne, una sepoltura come le decine di migliaia di tumuli e croci con la dicitura mort pour la France, che suturano la campagna. Prati e boschi transalpini, sono il più esteso cimitero dei senza nome d’Europa; se non fosse stato per la caparbia volontà di pochi, Fournier e i venti commilitoni -erano in ricognizione- sarebbero ancora in una fossa dove radici e scheletri hanno formato un solo intrico di morte e vita. Saint Rémy de la Calonne (Mosa) è un puntino sulla carta geografica. Non ha mai avuto più di cento abitanti. La didascalia di una cartolina di fine Ottocento precisa che le casupole, il ciabattino e i quattro bambini che guardano il fotografo, sono nella via principale. Negli anni Venti, era stata aperta una mescita di vino e osteria a menu fisso, À tout va bien. Qui, sotto i faggi su cui si arrampica il vischio, i soldati dispersi il 22 settembre sono stati cercati per decenni. Nessuno era tornato, nessun corpo era stato trovato. Dunque, erano stati sepolti. Il cinismo dei grandi numeri vuole che due manciate di uomini non siano nulla: la seconda metà del 1914 aveva dimostrato cosa sarebbe stata la prima guerra moderna: trincee, obici, filo spinato, mitragliatrici e gas. Un tritacarne che ha macinato l’Europa. Seicentomila soldati francesi su un totale di un milionecinquecentomila, sono caduti nei primi mesi. Oltre trecentomila morti, feriti e dispersi in sei settimane, tra l’1agosto e il 15 settembre 1914. La battaglia di Lorraine, da sola, falcia ottantamila uomini, Verdun trecentosettantamila tra morti, feriti e dispersi. Alla Somme, più di duecentomila. Diciassette giorni prima, l’amico, scrittore e poeta Charles Peguy, altra figura di primo livello della letteratura e della coscienza civile, era morto in battaglia. Le ultime parole le avrebbe rivolte a Dio per i suoi quattro bambini. Peguy e Fournier avrebbero potuto evitare il fronte: erano entrambi vicini alla presidenza della République e anti-belligeranti. Ma avevano risposto alla chiamata del dovere.

Fournier era stato mobilitato il 2 agosto e aveva raggiunto a Mirande il 288° Reggimento di Fanteria. Promosso luogotenente, aveva partecipato alla Battaglia delle Frontiere, combattuta sui fronti franco-belga e franco-tedesco dal 7 al 23 agosto.

“Non so dove sia Dio in questa guerra poiché l’enigma del mondo non può essere spiegato ma so bene che sarò colpito quando lui lo vorrà, come e dove vorrà.” aveva scritto all’amante Pauline Benda, alias madame Simone, pochi giorni prima del fatale martedì. Morire a ventotto anni è una bestemmia. A parte il quarantottenne capitano, tutti erano intorno alla trentina, anno più anno meno, come Franz Schubert, Henry Purcell, Mozart e, perché no, Charlie Parker. Esistenze ammutolite, il futuro depredato di quanto avrebbero potuto fare, nel nome di un inespiabile crimine.

La morte di Fournier aveva dato la stura alle teorie dei “parvenus”, fantasiose se non improponibili. Una per tutte: Fournier sparò sul personale medico che reagì, uccidendolo. Ancora: un cecchino tedesco lo avrebbe centrato al cuore con un fucile Mauser. L’autopsia? Fu un’imboscata, in cui morirono il capitano Savinien Boubée de Granmont, il sottotenente Pierre-Émile Imbert, il sergente Pierre Testegutte, il luogotente Henry-Alban Fournier -Alain era il nom de plûme- e diciassette soldati, tutti del 288° R.I.

Nel 1990, dopo tredici anni di ricerche sul terreno e negli archivi militari, un gruppo di appassionati individuò l’area grazie a uno scarponcino ferrato che spuntava tra l’erba. Sono migliaia i cercatori di reperti che setacciano campi e boschi: sul web, un efficace metal detector costa un centinaio di euro. Il caso ha voluto che la sepoltura restasse intonsa nonostante oltre settant’anni di tentativi: quanto restava dei soldati era sotto pochi centimetri di terra. Fu informata la Direction interdépartementale di Metz, preposta all’identificazione e alla sepoltura dei resti e, stante la possibilità che tra questi vi fosse Fournier, il ministero della Cultura di Jack Lang. Fu costruita una copertura in vetro e acciaio ad evitare saccheggi…

I corpi erano stati stesi testa-piedi, in due file; lembi di divisa, gradi, placchette di identificazione e le arcate dentarie, hanno permesso l’identificazione di diciannove scheletri su ventuno. I due ignoti erano soldati semplici con meno di trent’anni.

Fournier fu individuato dai resti della giacca e da un molare otturato. Archeologi, antropologi e anatomopatologi hanno recuperato le cose rimaste e ricomposto gli scheletri. Una borraccia, placchette di riconoscimento, lacerti di stoffa. Nessun effetto personale, nessuna arma. I corpi erano stati depredati.

Premonizioni, tra Le Grand Meaulnes e il destino: “Questa serata che avrei voluto eludere, finisce per pesarmi in modo strano. Mentre il tempo passa, e il giorno sta per chiudersi ed io lo vorrei già morto, ci sono uomini che in esso hanno riposto ogni speranza, ogni amore, le forze estreme. Ci sono uomini agonizzanti, altri che temono una scadenza e vorrebbero che domani non arrivasse mai; altri ancora per i quali domani nascerà come un rimorso. Alcuni sono sfiniti e questa notte non sarà mai abbastanza lunga per dargli tutto il riposo che occorre. E io, che ho buttato la mia giornata, con che diritto oso invocare il domani?” 
Dieci anni dopo, ecco i postumi di Fournier: Miracles (poesie) nel 1924, Correspondance avec Jacques Rivière nel 1925, Lettres à sa famille nel 1930, Lettres d’Alain Fournier à sa famille nel 1949 e, nel 1992, Correspondance tra Fournier e Pauline Blenda-Madame Simone, che solo nel 1957, avrebbe rivelato la loro relazione.

“Il corpo della donna, non è quest’idolo pagano, questo nudo di cortigiana che Hippolyte Taine e Pierre Louys hanno riesumato dai secoli greci… La donna è in primo luogo, al tempo dell’infanzia, la madre, la madre che è una veste, una gonna tra le cui pieghe ci siamo rifugiati bambini, per cercare un angolo caldo dove addormentarci.”. Le corps de la femme, 1908.
Nell’edizione 1947 del Grande Amico Le grand Meaulnes, collana Medusa- la Mondadori si scusa con il lettore per le imperfezioni dovute alle difficoltà tecniche e alla penuria di approvvigionamenti causati dalla guerra, conclusa due anni prima. Qualcosa è cambiato, nei settantacinque anni trascorsi sin qui. Ne erano passati settantasei, dal 1914 al 1990. Forse l’abbiamo già scritto.